Catullo rappresenta idealmente l’inizio della sua storia d’amore agganciandosi espressamente ai versi di Saffo (fr. 31 Voigt), nella struttura strofica codificata da Saffo. Si tratta di uno dei più compiuti esempi di aemulatio letteraria: il poeta traduce artisticamente le prime tre strofe dell’ode greca, riproponendo la stessa descrizione fisica della patologia amorosa (passione o gelosia?); quindi innova con una strofa finale in cui esprime, secondo alcuni sarcasticamente, il rifiuto dell’amore come otium rovinoso.
Metro: Strofe Saffica Minore
Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi; nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
<vocis in ore,>
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
Otium, Catulle, tibi molestum est;
otio exultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.
Īllĕ mī pār ēssĕ dĕō vĭdētūr,
īllĕ, sī fās ēst, sŭpĕrārĕ dīvōs,
quī sĕdēns ādvērsŭs ĭdēntĭdēm tē
spēctăt ĕt aūdĭt
dūlcĕ rīdēntēm, mĭsĕrō quŏd ōmnīs
ērĭpīt sēnsūs mĭhĭ; nām sĭmūl tē,
Lēsbĭa, āspēxī, nĭhĭl ēst sŭpēr mī
‹vōcĭs ĭn ōrĕ,›
līnguă sēd tōrpēt, tĕnŭīs sŭb ārtūs
flāmmă dēmānāt, sŏnĭtū sŭōptĕ
tīntĭnānt aūrēs, gĕmĭnā tĕgūntūr
lūmĭnă nōctĕ.
Ōtĭūm, Cătūllĕ, tĭbī mŏlēstum ēst;
ōtĭo ēxsūltās nĭmĭūmquĕ gēstīs:
ōtĭum ēt rēgēs prĭŭs ēt bĕātās
pērdĭdĭt ūrbēs.
Traduzione
Quegli mi sembra simile a un dio,
quegli, se è lecito dirlo, mi sembra superare gli dèi,
che seduto davanti a te può spesso
vederti e ascoltarti
mentre dolcemente sorridi: felicità che a me
sventurato rapisce l’uso di tutti i miei sensi:
come infatti ti vedo, o Lesbia, non mi resta poi
neanche un filo di voce,
la lingua si intorpidisce, una sottile fiamma
s’insinua nelle mie membra, un ronzio
interno ottunde il mio udito, una duplice
tenebra offusca i miei occhi.
L’ozio, o Catullo, ti tormenta;
nell’ozio ti esalti e in eccesso folleggi!
L’ozio in passato perdette anche re
e fiorenti città.
Traduzione di Luca Canali
Guardare ascoltare te che dolce ridi
Standoti presso incessantemente
Trovo divina cosa anzi oso dire
Più che divina e che mi fa morire
Miseria mia d’uomo
Perché appena ti vedo la mia voce
Non esce più ho la lingua tutta secca
E in tutto il corpo un fiume sottile
Di fuoco Lesbia e uno strepito acuto
Nelle orecchie stordite e i miei due occhi
Avviluppa la notte
Il vuoto dei tuoi giorni Catullo è il tuo male
In questo vuoto perdi ogni freno
Ti ecciti oltre misura
Signori antichi città felici
Così perirono
Traduzione di Guido Ceronetti
Quello mi sembra pari a un dio,
quello – se è possibile – mi sembra superi gli dèi,
che sedendo di fronte a te, senza posa
ti guarda e ti ascolta,
mentre dolcemente sorridi. Questo a me infelice
strappa tutti i sensi: infatti, non appena ti vedo,
Lesbia, non ho più voce
per dire parole.
La lingua è torpida, sottile nelle membra
una fiamma si insinua, di suono interno
ronzano le orecchie, di duplice notte
sono coperti i miei occhi.
L’amore ti rovina, Catullo!
Nell’amore troppo esulti e ti ecciti:
l’amore già in passato re e felici città
ha mandato in rovina.
Traduzione di Angelo Roncoroni