Questo frammento, tramandato da Efestione come dodecasillabo alcaico, è stato oggetto di un lungo dibattito critico. Riportato dai codici dell’Enchiridion nella forma corrotta ἰόπλοκ’ ἄγνα μελλιχόμειδες άπφοι, ha subito l’intervento della maggior parte degli editori che, ripensando i confini di parola, hanno restituito l’apostrofe finale alla poetessa Saffo.
Secondo Gentili (2017), il frammento non è solo argomento a favore della contemporaneità di Saffo e Alceo, ma anche il saluto di Alceo rivolto a una Saffo già mitizzata come sacerdotessa dal canto divino, un “reverente omaggio alla dignità sacrale della poetessa quale ministra d’Afrodite e alla grazia amorosa che questa le conferiva”.
La struttura retorica prevede tre epiteti che precedono il nome della poetessa in clausola: il perno semantico della triade è ἄγνα, aggettivo che in età arcaica rimandava alla dimensione sacrale in senso lato, qui incorniciato da altri due aggettivi (di cui μελλιχόμειδες, hapax alcaico) funzionali a circoscrivere la sfera cultuale afroditica.
A rigore scientifico, la lettura qui proposta è rifiutata dall’editore Liberman (1999), che con Pfeiffer corregge in μελλιχόμειδες Ἄφροι, introducendo in posizione finale un diminutivo di Afrodite.
ἰόπλοκ’ ἄγνα μελλιχόμειδε Σάπφοι