Alda Merini ha conosciuto Saffo attraverso le traduzioni dell’amico Salvatore Quasimodo. In questa poesia, contenuta nella raccolta “L’uovo di Saffo”, la Merini rielabora drammaticamente il tema della solitudine notturna dell’amante, fissato dalla poetessa di Mitilene nel frammento 168b Voigt. La solitudine, che in Saffo è associata al motivo della fugace giovinezza, si fa qui angoscia senza tempo, sentimento strisciante di vuoto, afasia, negazione di ogni principio d’amore, in un parossismo emozionale che costringe a misurarsi con la follia.
Quando la notte cala e si fa fonda
e si ingemma la notte dentro il sole
io penso con terrore che la sera
non è stata principio di un amore.
E mi dimeno nel mio letto sola
e divento serpente di me stessa
e mi sbrano e mi abbuio e mi spavento.
Io mi misuro con la mia follia
che tale è solitudine del verso
e mi devo nascondere a me stessa
perché non ape di gentile amore
punge il mio labbro avido di suoni.