Nel Triumphus Cupidinis (Trionfi IV, 25-27), Petrarca inserisce Saffo nella visione onirica della corte di Amore. Il poeta, dopo aver annoverato con precisione i nobili poeti greci e latini cui ella si accompagna, sceglie di negarci il nome della poetessa (“una giovene Greca”) per consegnarci il rapido ritratto di una donna la cui riconoscibilità è nell’eccellenza di un canto “soave e raro”.
Anche nel Bucolicum Carmen (X, 88, 91) Petrarca lascia senza nome colei che fu ritenuta dai Greci la “decima Musa”. È una docta puella in mezzo ai cori di uomini dotti che, avvinta dai lacci di un amore impietoso, suona dal roseo labbro un flauto soave. L’indefinitezza dell’indicazione e l’insistenza sull’unicità del canto sottolineano l’universalità della voce di Saffo, capace di ergersi tra i cori e di accarezzare persino gli astri con la dolcezza dei suoi lamenti (dulces querele).
Una giovene Greca a paro a paro
coi nobili poeti iva cantando,
et avea un suo stil soave e raro.
Altera solliciti laqueos cantabat amoris
Docta puella, choris doctorum immixta virorum,
Cynnameus roseo calamus cui semper ab ore
Pendulus, et dulces mulcebant astra querele.
Traduzione
E un’altra cantava i lacci d’un amore affannoso,
una dotta fanciulla mista ai cori degli uomini dotti,
cui sempre pendeva dal roseo labbro un flauto soave,
e i dolci lamenti molcevano gli astri.
Traduzione di Guido Martellotti